domenica 16 settembre 2012

I veri problemi del cibo di origine animale


Introduzione

Già diversi post apparsi precedentemente su questo blog hanno identificato e spiegato i problemi di salute associati con il consumo di cibo di origine animale, particolarmente latte di vacca e carne in generale.
Si sono spesso tratte conclusioni basate su dati clinici e/o epidemiologici e dunque, in sostanza, statistici; da un punto di vista scettico si sarebbe sempre potuto osservare che la statistica lascia il tempo che trova quando ci si concentra sulla salute di una singola persona, che può o meno mostrare gli effetti riassunti da una statistica.
Ma arriva il momento in cui, finalmente, la ricerca fa quel passo avanti in più, mostrando le basi biologiche e molecolari che spiegano i dati precedenti; si vedono, cioè, con esami clinici obiettivi, le reali reazioni biochimiche che spiegano problemi generati o risolti dal consumo di una certa sostanza: ecco la dimostrazione definitiva della pericolosità o della salubrità di tale sostanza!

Il Dr. Michael Greger

Questo post è basato su una serie di video appartenenti alla raccolta "Latest in Clinical Nutrition" ("Novità nella Nutrizione Clinica") in cui il Dr. Michael Greger riassume e divulga tutte le ultime novità apparse in articoli scientifici pubblicati su riviste mediche serie; il Dr. Greger dona in beneficenza tutti i proventi della vendita dei suoi DVD, e ogni giorno pubblica gratuitamente un nuovo video estratto dall'ultimo DVD sul sito NutritionFacts.org. Il Dr. Greger è estremamente preparato, serio e professionale nel suo lavoro, ma anche molto simpatico e divertente da seguire nel suo modo di porgere contenuti che altrimenti rischierebbero di essere noiosi, quindi ho deciso di aiutarlo io stesso traducendo in italiano i sottotitoli dei suoi video!

La teoria dell'intestino permeabile: perché i prodotti di origine animale causano infiammazione

Si sa già da tempo che gli alimenti vegetali godono di spiccate capacità anti-infiammatorie nell'uomo [Watzl et al. 2008].
Ma si sa da molto più tempo che basta un singolo pasto ricco di grassi animali per causare infiammazione diffusa alle pareti delle arterie, facendo loro perdere fino al 50% delle capacità motorie (espansione e contrazione al ritmo del cuore) nel giro di poche ore dal pasto [Vogel et al. 1997]; il massimo si ha 4 ore dopo, e la situazione ritorna normale circa 6 ore dopo, cioè quando solitamente si passa al pasto successivo: molte persone consumeranno di nuovo grassi animali, e così questo processo infiammatorio di bassa intensità diventerà cronico nelle pareti delle loro arterie.
Lo stesso effetto infiammatorio è stato poi recentemente osservato sui polmoni e sulle vie aeree, sempre a poche ore di distanza da un pasto ricco di grassi animali [Rosenkranz et al. 2010], suggerendo un legame tra una dieta ricca in grassi animali e l'insorgenza di malattie croniche infiammatorie dei polmoni e delle vie aeree.
Un'infiammazione cronica, anche se di livello modesto, è di per sé fattore di rischio per tutte quelle malattie croniche di origine infiammatoria riconosciuta, come le malattie cardiache, il diabete e i tumori. Ma le infiammazioni sono, in generale, effetto di una risposta immunitaria del nostro corpo, e allora bisogna chiedersi: contro cosa sta combattendo il nostro corpo? Ci sono volute molte altre ricerche per arrivare a capirlo.
Ad esempio, sono stati riportati casi di infiammazione alle articolazioni in alcuni pazienti, collegate a forme allergiche o reumatiche, e si è ipotizzato che il motivo stesse nelle proteine della carne consumata dalle persone oggetto dello studio [Kutlu et al. 2010]; era infatti stato già ipotizzato in precedenza che il corpo potesse interpretare eventuali proteine animali in circolazione nel sangue come un'invasione di agenti patogeni.
Ma poi è stato osservato un analogo aumento del livello di infiammazione nel corpo di volontari, anche a seguito del consumo di panna, a differenza di quanto avveniva consumando acqua, zucchero o succo d'arancia [Deopurkar et al. 2010]; qui il picco di infiammazione era a 3 ore dal pasto, e dopo 5 ore i livelli non si erano ancora completamente normalizzati. Il problema adesso è che non ci sono molte proteine nella panna, e allora l'attenzione è tornata sui grassi animali saturi. Ma è altamente improbabile che il corpo si metta ad attaccare i grassi, e così nel medesimo articolo si trova una prima parte della risposta: nelle persone oggetto dello studio, l'infiammazione era dovuta al livello di endotossine (tossine da batteri gram-negativi) nel sangue, che aveva il proprio picco a 3 ore dal pasto, e rimaneva all'incirca stabile dopo 5 ore.
Era nel frattempo stato ipotizzato che questo (comunque basso) livello di endotossine in seguito ad un pasto molto grasso fosse dovuto al fatto che i grassi fungevano da vettori delle tossine prodotte dagli stessi batteri che vivono nell'intestino umano [Erridge et al. 2007].
Successivamente, è stato riscontrato nei topi come una dieta molto ricca di grassi animali (lardo) e anche il rapporto tra i diversi tipi di batteri che popolano l'intestino fosse alla base dell'aumento delle endotossine, e con esse dell'infiammazione costante che poi induceva obesità e diabete di tipo 2 [Cani et al. 2008].

La teoria delle endotossine esogene

Abbiamo dunque visto come si sia arrivati ad ipotizzare che gli alimenti ricchi di grassi animali facciano diventare l'intestino permeabile alle tossine prodotte dagli stessi batteri che lo abitano normalmente.
Ma un'analisi più approfondita dei risultati fin qui mostrati evidenzia che, se da una parte l'infiammazione inizia a manifestarsi già 2 ore dopo l'ingestione di grassi animali, dall'altra i nostri batteri abitano prevalentemente le parti basse dell'intestino, dove il cibo arriva diverse ore dopo!
Dunque inizia a farsi strada l'ipotesi che le endotossine batteriche possano provenire non dai batteri ospiti del nostro intestino, ma dal cibo stesso; in un recente articolo si è quindi studiata la capacità che 26 alimenti comuni mostrano nel sollecitare direttamente l'attivazione di globuli bianchi umani in vitro. Ebbene, è stato dimostrato che il tacchino, il maiale, il gelato e la cioccolata hanno un potere di stimolazione 10-15 volte più alto rispetto alla media di tutti i 26 alimenti studiati [Erridge 2011].
Per la cioccolata, le tossine possono provenire dai batteri responsabili della prima fase di lavorazione delle fave di cacao: fermentazione batterica, appunto; ma le spiccate capacità antinfiammatorie dei flavonoidi contenuti nel cacao sembrano controbilanciare completamente questo effetto [Selmi et al. 2008], come chiaramente osservato nei consumatori abituali di cioccolato fondente [di Giuseppe et al. 2008].
Lo stesso non può dirsi per i prodotti di origine animale prima menzionati: tacchino, maiale e gelato.

Le endotossine dei batteri della carne morti

Era stato già precedentemente mostrato che alimenti anche non scaduti possono comunque contenere carche batteriche tanto forti da causare risposte immunitarie infiammatorie: ad esempio, si sapeva già che 113 grammi carne di manzo macinata fresca (lo standard per un hamburger) contengono da uno a cento milioni di miliardi di batteri vivi. Ma nessuno ne ha mai impedito la messa in vendita né il consumo, dato che i batteri muoiono tutti con la cottura!
Ma la ricerca prima menzionata mostra che il potere infiammatorio degli alimenti permane anche dopo la cottura [Erridge 2011]: cioè i batteri possono anche essere morti, ma le loro endotossine sono ancora presenti nell'alimento! Ad esempio, il potere infiammatorio della carne permane anche dopo 2 ore di bollitura, dopo 2 ore in un bagno acido (tipo il nostro stomaco) ed anche dopo prolungata esposizione ai nostri enzimi pancreatici!
Dunque si ipotizza che anche l'occasionale ingestione di questi alimenti altamente contaminati porti a sviluppare un'infiammazione costante e latente, che a sua volta ci rende soggetti allo sviluppo di aterosclerosi ed insulino-resistenza.
Inoltre, dato che le endotossine batteriche hanno affinità per i medesimi recettori intestinali che assorbono i grassi saturi, ecco che è riconosciuta la pericolosità dei grassi saturi contenuti in alimenti di origine animale carichi di batteri (vivi o morti che siano, poco importa): i grassi saturi fanno da vettori alle tossine batteriche, portandole nel circolo sanguigno!
Un recente articolo [Harte et al. 2012] conferma questa interpretazione, e riconosce la pericolosità di un'alimentazione ricca di grassi animali in quanto capace di indurre aumento dei livelli infiammatori in pazienti di diabete di tipo 2; ma è sconcertante la conclusione dell'articolo: gli scienziati riconoscono che la mossa più ovvia sarebbe quella di raccomandare un ridotto apporto di grassi animali con la dieta, ma mostrano delusione perché, a loro dire, le persone non sarebbero pronte ad accettare una tale direttiva.

Altri processi infiammatori dovuti al consumo di alimenti animali

Acido arachidonico in carne e uova [Dr. Greger]

Il pollame e le uova sono i maggiori fornitori naturali di Acido Arachidonico, un Omega-6 a catena lunga che anche il nostro fegato sintetizza, ma solo quando necessario, dato che esso è all'origine di tutti i nostri processi infiammatori [Galland L., 2010].
E' esattamente come per il colesterolo: i carnivori lo ottengono dalla loro alimentazione a base di altri animali morti, mentre noi, come ogni altro erbivoro del pianeta, lo sintetizziamo nel fegato.
E' quindi ovvio, nell'uno e nell'altro caso, che consumare alimenti che contengono tali grassi ci pone a rischio di aumento di processi infiammatori in generale.


Un acido sialico alieno nella carne [Dr. Greger]

La molecola infiammatoria Neu5Gc (un acido sialico) è sistematicamente ritrovata nei tumori umani durante le autopsie, ma né nel DNA umano, né in quello dei batteri intestinali c'è la capacità di produrla, e non si trova neppure nelle piante: si tratta dunque di materiale alieno, assunto tramite l'alimentazione a base di cadaveri di altri animali che sono in grado di produrlo [Tangvoranuntakul P. et al, 2003]. Le cellule umane lo impiegano poi al posto di altre molecole simili (altre forme di acido sialico) esponendosi, così, alla risposta immunitaria che combatte giustamente il Neu5Gc alieno [Padler-Karavani V. et al., 2008]. Ha così origine un costante livello di infiammazione cronica, che a sua volta aumenta il rischio di artriti, tumori e malattie cardiovascolari.

Ammine eterocicliche nella carne cotta [Dr. Greger]

Già negli anni '90 due studi internazionali misero in correlazione il consumo di carne fritta o arrostita con il cancro al seno, e nel 2000 è stato identificato il probabile colpevole, una ammina eterociclica chiamata in modo abbreviato PhIP [Sinha R. et al., 2000].
Le ammine eterocicliche sono sostanze cancerogene ormai diffuse ovunque, dato che si trovano nella carne, nel pollame e nel pesce cotti, nonché nel fumo di sigaretta. Si producono anche nelle carni grigliate e affumicate, e il rischio di cancro al seno deriva direttamente dalle capacita mutagene di questi composti: il livello di consumo di carni cotte è direttamente correlato al numero di mutazioni del DNA riscontrate nel tessuto mammellare [Rohrmann S et al., 2009].
Le mutazioni al DNA provocate da qualunque ammina eterociclica possono dunque dare il via al tumore, ma la scoperta più scioccante è relativa al PhIP, che è addirittura capace di promuovere la crescita del tumore, grazie alla sua azione estrogenica potente quasi quanto quella dell'estrogeno vero e proprio, anche a basse dosi [Lauber SN et al., 2004].
Rimane solo da sapere se il PhIP è veramente capace di raggiungere i dotti mammellari, che sono il tipico sito iniziale per il tumore al seno: e così è stato identificato il PhIP anche nel latte materno di donne sane consumatrici di carni cotte [DeBruin LS et al., 2001].
E' principalmente la creatinina, aminoacido abbondante nelle proteine animali, che con la cottura ad alta temperatura dà origine a varie ammine eterocicliche [Holland RD et al., 2005].

Stress su fegato e pancreas per il consumo di proteine di "alta qualità" [Dr. Greger]

Una volta smontato il concetto di "proteine nobili”, intendendo con tale termine quelle fonti di proteine che potessero annoverare la fornitura completa di tutti gli amminoacidi a noi essenziali, i nutrizionisti mediatici si sono inventati il nuovo concetto di “proteine di alta qualità” per intendere che le proteine animali hanno una dotazione di amminoacidi in rapporti quantitativi reciproci simili ai nostri. Intanto una prima risposta logica è che la qualità più alta costoro la possono trovare nella carne umana, se inclini a praticare il cannibalismo!
Ma la risposta scientifica è ancora più disarmante: per ragioni forse non ancora del tutto comprese a fondo, il nostro fegato rilascia grandi quantità di fattore di crescita insulino-simile 1, o IGF-1, in risposta al consumo di proteine di “alta qualità” [Allen NE et al., 2002].
Su questo blog ho anche presentato un articolo in cui si nota un'estremamente variabile risposta insulinica, dunque a carico del pancreas, in seguito al consumo di proteine animali senza carboidrati.
I due risultati paralleli indicano un non necessario stress posto su questi due delicatissimi nostri organi interni in seguito al consumo di alimenti di origine animale; si può approfondire su insulina e IGF-1.

Contromisure da parte dell'industria della carne

L'industria USA della carne si sta muovendo per affrontare i problemi di tossicità della carne, per ridurre le contaminazioni batteriche nonché (addirittura!) per ridurre la tossicità (!!!) del ferro-eme: ma possiamo stare tranquilli?

Misure contro le contaminazioni batteriche [Dr. Greger]

I pericoli di contaminazione per i prodotti di origine animale sono in aumento, grazie anche alla pratica di dare antibiotici ad ampio spettro a scopo preventivo a tutti gli animali compresi quelli non malati, e nuovi agenti patogeni si affacciano quindi sul mercato [Scallan et al. 2011] a fianco di quelli già conosciuti:
  • Non ci si è ancora sbarazzati della salmonella nelle uova, dato che resiste a molti metodi di cottura tradizionali e può contaminare anche gli utensili da cucina! [Davis et al. 2008]
  • Che dire degli agnelli: il 27% di quelli destinati all'alimentazione umana negli USA è stato trovato positivo al test per un parassita del cervello, il Toxoplasma gondii [Dubey et al. 2008], che è stato dimostrato essere in grado di provocare la schizofrenia nell'uomo [Yolken et al. 2009].
  • Ai polli allevati negli USA è stata da sempre data una dose di medicinali contenenti arsenico, adesso si incomincia a parlare di tossicità della carne da essi derivata [Silbergeld et al. 2008]. E una particolare variante del batterio Campylobacter trovato nelle feci dei polli di allevamento è stato recentemente correlato con l'insorgenza della Sindrome di Guillain-Barré, una paralisi di origine autoimmunitaria per risposta imprecisa del sistema immunitario [Hardy et al. 2011].
  • Anche l'insorgenza di leucemia nei bambini USA è stata correlata con il consumo di hot-dog e carne processata/conservata in generale [Peters et al. 1994].
  • Sempre l'utilizzo indiscriminato degli antibiotici ad ampio spettro ha portato allo sviluppo di ceppi resistenti, come ad esempio il Clostridium Difficile trovato in passato nei polli [NRC 1985] e più recentemente nelle mucche [USDA 2010]; le spore di questo batterio possono rimanere attaccate alle mani di chi tocca carne contaminata, e non si lavano via con i nuovi gel all'alcol, ma più tradizionalmente con acqua e sapone! [Jabbar et al. 2010].
  • Nei maiali allevati in spazi ristretti in stile industriale USA, si trova il batterio Yersinia enterocolitica che è per loro asintomatico, mentre è estremamente pericoloso per l'uomo, con reazioni possibili che vanno dalla diarrea fino all'artrite autoimmune [Ortiz Martinez P., 2010].
E allora? Beh, la FDA (Food and Drug Administration USA) ha già da molto tempo approvato la pratica di spruzzare virus batteriofagi (cioè che uccidono i batteri) come additivo alimentare sulle carni pronte per il confezionamento (quindi sempre dopo la frollatura) [Bren 2007]. Gli articoli in cui vengono provate queste fantastiche pratiche sono stati pubblicati tutti dopo l'approvazione della FDA [Guenter et al. 2009] [Afterbury 2009] [Carvalho et al. 2011]. Ancora oggi, comunque, si evita di usare questa tecnica per la preoccupazione che possa non essere accettata dai consumatori! 
Ecco dunque nuovi studi scientifici pagati dall'industria della carne USA per innovare i metodi di riduzione del rischio delle carni da allevamento. Guardate che idea spettacolare: le larve delle mosche carnarie si nutrono tranquillamente di carne in putrefazione, quindi ricchissima di batteri in azione; evidentemente, dunque, esse devono possedere un potentissimo sistema immunitario! Allora ecco che con metodo scientifico si studia l'effetto dell'applicazione, alla carne di maiale pronta per la vendita, di uno spray ottenuto frullando queste larve dopo 3 giorni di vita... Per chi ha il coraggio di leggere l'agghiacciante articolo originale: [Wang et al. 2010].
In realtà, il problema è ben più profondo: tutti questi studi sui nuovi metodi di riduzione del rischio parlano di morte dei batteri presenti nella carne mediante lisi (rottura) della loro membrana. Il che lascia, ovviamente, le endotossine intatte nel prodotto, e il problema originario aperto, anche se meno rilevabile: infatti, i controlli di sicurezza alimentare standard sono in grado di individuare facilmente la presenza di batteri vivi, mediante normali metodiche di coltura; è invece molto molto più difficile individuare le endotossine libere, come visto nell'articolo prima richiamato [Erridge 2011].

Misure contro la tossicità del ferro-eme (!!!) [Dr. Greger]

E' ormai ben noto che l'assorbimento del ferro vegetale è più limitato rispetto a quello del ferro animale: il ferro-eme contenuto nella carne è biochimicamente identico a quello nella nostra emoglobina (e perciò detto ferro-eme), quindi il corpo lo assorbe molto più facilmente (vedi, ad esempio, l'illuminante articolo su Wikipedia). Ma ecco due problemi finora non rilevati, soprattutto il secondo:

  1. Il ferro è l'unico minerale di cui il nostro corpo non sa liberarsi se si trova ad averne in eccesso, e infatti l'assorbimento troppo “diretto” del ferro-eme porta a rischi di intossicazione da eccesso di ferro.
  2. Il ferro-eme è proprio tossico di per sé! Lo dicono già centinaia di articoli scientifici, ma basta citarne uno solo [Corpet DE, 2011], in cui si vede l'enorme e multi-miliardaria industria della carne USA che cerca nuovi metodi per correre ai ripari, data la forte correlazione tra consumo di ferro-eme e tumore al colon! Il metodo studiato nell'articolo consiste nell'aggiunta di calcio e vitamina E alla carne per diminuire la tossicità del ferro-eme: il calcio limita l'assorbimento del ferro [Wikipedia], e la vitamina E, in quanto antiossidante, limiterebbe "al volo" le capacità ossidative del ferro-eme.

Conclusione


Finalmente, dunque, la ricerca medico-scientifica ci consente di passare dal piano statistico-epidemiologico a quello biochimico-microbiologico quando si parla della pericolosità derivante dal consumo di prodotti di origine animale. A questo punto, non si può più cavarsela semplicemente ipotizzando di avere caratteristiche genetiche diverse da quelle espresse nel campione utilizzato per gli esperimenti: può variare soggettivamente l'intensità dei problemi, ma tali problemi si può facilmente comprendere che riguardino tutti.
E' qui da notare come la carica batterica presente nella carne sia un qualcosa di inevitabile nella nostra cultura, dato che senza il processo di frollatura la carne degli animali appena abbattuti non è giudicata commestibile; la frollatura è in realtà una vera e propria fermentazione batterica, che porta inevitabilmente al moltiplicarsi della carica batterica totale nel prodotto.

A questo proposito, dato che è illegale vendere automobili non sicure, giocattoli non sicuri, ecc., ci si potrebbe chiedere come mai sia legale vendere carne non sicura. Basta cuocerla troppo poco, e vi si possono trovare batteri potenzialmente pericolosi ancora vivi all'interno; se invece la si cuoce per bene, comunque porta un carico di endotossine potenzialmente pericoloso, oltre che magari anche delle ammine eterocicliche dovute alla cottura. Intervistato nel 2002 a questo riguardo, il microbiologo americano della USDA Nelson Cox affermò che "Le carni crude non sono a prova di idiota. Possono essere maneggiate male, e quando ciò accade è come maneggiare una bomba a mano: se tiri la spoletta, qualcuno si farà male”. Gli fu fatto notare come non sia molto saggio vendere bombe a mano al supermercato, ma Cox insistette: “Penso che sia il consumatore ad avere la responsabilità maggiore, ma rifiuta di accettarla". Come dire che è colpa nostra se ci ammaliamo mangiando la carne che ci vendono!

Bisogna ancora una volta chiedersi, dunque, quanto sia naturale o meno, per la specie umana, il consumo di carne ed altri alimenti di origine animale così come li troviamo in commercio. La risposta non può che essere negativa, date le evidenze fin qui presentate, vere per i prodotti animali di qualunque origine (anche se in alcuni casi solo da allevamenti intensivi); quindi anche chi propaganda il consumo di carne “biologica” (ammesso che sia sostenibile la sua produzione) è servito: colesterolo, acido arachidonico, Neu5Gc, ferro-eme, tossine da batteri cadaverici e sovraproduzione di insulina ed IGF-1 sono comunque sempre presenti; le ammine eterocicliche pure, se la cottura raggiunge temperature troppo alte.

Non serve dunque aggiungere altro, quindi non andiamo nemmeno a parlare degli inquinanti ambientali:

  • fertilizzanti, diserbanti, anticrittogamici e conservanti spruzzati sulle granaglie che vengono usate come mangime invece di erba e fieno e che poi si accumulano nei corpi degli animali;
  • antibiotici iniettati agli animali continuamente per promuovere la crescita, ed anche ed aggiunti al cibo;
  • ormoni somministrati per mantenere lo stato di gravidanza continuo e per aumentare ulteriormente la produzione di latte nelle mucche.

Gli inquinanti ambientali sono certamente presenti, in generale, nei prodotti animali più che in quelli vegetali, e sono sicuramente molto pericolosi per la salute dato che tendono ad accumularsi anche nel corpo umano, con effetti negativi dimostrati scientificamente; ma essi possono più o meno facilmente essere evitati ricorrendo all'allevamento biologico degli animali, che prevede sia che siano alimentati con prodotti da agricoltura biologica, e sia che siano lasciati il più possibile liberi all'aria aperta (sempre ammesso che questo tipo di allevamento sia sostenibile).
Gli inquinanti ambientali, insomma, non costituiscono un argomento forte nella dialettica con gli “onnivori”, per cui si tralascia qui la loro disamina.

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